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22.1.14

L'Italia cambia (mentre tutti parlano delle preferenze).


Da quando è stata resa pubblica l'intesa raggiunta con Forza Italia sulla riforma elettorale e su quella Costituzionale, il dibattito si è concentrato quasi esclusivamente sul tema preferenze sì, preferenze no.
Sul punto ho già scritto come la penso, ma lasciatemi dire che sono molto meravigliato del fatto che al resto dell'accordo non sia stata dedicata l'attenzione che merita.
Eppure la carne a cuocere non manca.
Nel progetto di riforma, innanzitutto, c'è la fine del bicameralismo perfetto. Il Senato non avrà più la potestà legislativa e il modello abbozzato potrebbe risultare simile a quelli esistenti in altri Paesi (Camera dei Lords, Bundesrat, Senato francese), dove alla seconda camera sono attribuiti poteri di controllo, a volte anche di veto su alcune materie, ma il procedimento di approvazione delle leggi è sensibilmente più snello di quello attualmente in vigore da noi. Qualche giorno fa Battista sul Corriere ha raccontato del declino del Senato. Io, pur condividendo alcune considerazioni, sono convinto che non sia quello il punto. Se fosse una questione di prestigio delle istituzioni, dovremmo abolirle tutte, purtroppo. Invece ritengo sia una questione di essere al passo coi tempi. Il Senato era stato disegnato per rappresentare le Regioni in un'Italia che le Regioni ancora non le aveva (bisognerà aspettare il 1970). Dopo che la riforma (sulla quale tornerò tra un attimo) del Titolo V della Costituzione ha attribuito alle Regioni un'ampia potestà legislativa, ha ancora senso mantenerlo? Secondo me no. Per questo guardo con favore all'introduzione del moncameralismo.
C'è poi, la questione delle Regioni. Sotto l'aspetto del taglio alla spesa pubblica si introduce un tetto alle prebende dei consiglieri regionali (il che non può che far piacere) ma, soprattutto, si accenna ad una revisione dell'art. 117 della Costituzione, con la fine della potestà legislativa concorrente (che tanto conflitto innanzi alla Corte Costituzionale ha generato) ed una ripartizione rigida delle materie tra Stato e Regioni. Si tratta, a mio modestissimo avviso, di un intervento provvidenziale. La potestà legislativa delle Regioni è stata utilizzata, dal 2001 ad oggi, poco e male. Una ridefinizione delle competenze è necessaria e, in concomitanza con la da troppo tempo annunciata abolizione delle Province, potrà essere l'occasione per disegnare un assetto dello Stato più moderno ed efficiente.
Fa sul serio Renzi? Ci riuscirà a portare avanti le Riforme di cui, da anni, sono pieni i programmi dei partiti, i discordi di fine anno del Presidente della Repubblica e quelli di insediamento dei Presidenti del Consiglio?
Naturalmente in questo momento nessuno può dirlo. Gli interlocutori di Renzi non hanno mai brillato per affidabilità, tutt'altro. Ci sono però un paio di considerazioni da fare. La prima: i tempi della legge elettorale sono talmente brevi che se qualcuno ha intenzione di bluffare non tarderà a scoprirsi. La seconda: fatta la legge elettorale, le riforme costituiranno l'assicurazione sulla vita del Governo. Da quel momento in poi, infatti, l'argomento che le nuove elezioni non garantiranno un governo non potrà più essere utilizzato. Al primo intoppo, quindi, si tornerebbe alle urne.

6.7.11

Il PD, la Casta e le Province semprevive


Come si affretta a spiegare il fonatissimo deputato PD Andrea Sarubbi sul suo blog il partito di Bersani si è astenuto sulla proposta di legge costituzionale dell'IDV che mirava ad abolire le Province. Già, le Province. Quegli enti il cui costo qualcuno ha calcolato in 14 miliardi di euro l'anno.
Sarubbi (appena uscito dal parrucchiere), Bersani, Franceschini hanno spiegato la loro proposta seria. Proposta che, lo sanno benissimo i capintesta del PD, non ha nessuna possibilità di essere approvata. Ieri, invece, i numeri per approvare la proposta dell'IDV c'erano. Si badi, questo non avrebbe significato approvare la legge, che avrebbe dovuto continuare il suo iter (aggravato, per giunta, come prevede l'art. 138 della Costituzione). Sarebbe stata, però, una bella presa di posizione. Una base sulla quale imbastire anche un discorso parlamentare diverso. Invece no. Hanno votato per il mantenimento dello status quo. Che significa mantenimento della Casta. Proprio nel giorno in cui il Censis ci svela che quasi la metà dei giovani che attualmente hanno un lavoro percepiranno una pensione inferiore ai 1000 euro. E la differenza che c'è tra i 1000 euro che percepiranno tra 40 anni gli attuali ragazzi italiani e gli emolumenti che percepiscono ora i 4.207 amministratori provinciali (ovvero i 107 presidenti, i 107 vice, gli 863 assessori, i 107 presidenti dei consigli ed i 3.023 consiglieri, per un costo di 119 milioni di euro annui) assomiglia sempre di più alla distanza che esiste tra quello che vogliono gli elettori e quello che è in grado di dare il PD. Il vento cambia, ma la sensazione è sempre più quella che, anziché alzare le minigonne, alzerà un bel po' di sederi dagli scranni del Parlamento, visto che siamo sempre di più quelli che non ne vogliono più sapere di votare PD.

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