Riprendo questo blog che non aggiorno da tempo per dire due cosette, stupide, quasi insignificanti, sul famigerato articolo 18 dello statuto dei lavoratori, di cui si parla (a seconda dei casi) come se fosse la causa di tutti i mali o, viceversa, la soluzione di tutti i problemi.
Per amore di verità e per stanchezza rispetto alle tante idiozie che ascoltiamo/leggiamo sul punto tutti i giorni, vorrei mettere nero su bianco i fatti, niente di più e niente di meno.
Innanzitutto cosa recita l'art. 18 della
L. n.300 del 1970?
Dice così:
Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro. 1. Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il
licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma
della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo
il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di
cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro [...]
Primo fatto: L'art. 18 si applica nei casi in cui un giudice dichiara inefficace o annulla un licenziamento.
Sembra banale ribadirlo, ma siccome mille volte mi è toccato ascoltare cose del tipo "basta con il fatto che un datore di lavoro è costretto a riassumere uno che rubava (o non lavorava, o era l'amante della moglie del padrone, etc. etc. e ci sono anche
esempi illustri di tali falsità)" è bene chiarirlo: se un datore di lavoro licenzia legittimamente un proprio dipendente, in nessun caso sarà tenuto a reintegrarlo.
Ma quand'è che un licenziamento è legittimo?
La normativa di riferimento in questo caso è costituita dal Codice civile e dalla citata L. n.604/66.
Vediamola
Art. 2119 del Codice Civile
Recesso per giusta causa. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede, per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda.
Legge n.604/66
Art. 1
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti
pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto
collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta
causa ai sensi dell'art. 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.
Art. 2 (1)
1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il
licenziamento al prestatore di lavoro.
2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno
determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta,
comunicarli per iscritto.
3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 é inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti.
Art. 3
Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato da un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Art. 4
Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un
sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali é nullo, indipendentemente dalla motivazione
adottata.
Art. 5
L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento
spetta al datore di lavoro
[...]
Art. 8
Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o
giustificato motivo, il datore di lavoro é tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine
di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra
un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto
riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio
del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della
predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità
superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai
venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.
Secondo fatto: il datore di lavoro può procedere legittimamente ad uno o più licenziamenti individuali quando ricorrano un
giusta causa od un
giustificato motivo, soggettivo od oggettivo.
Non mi dilungherò su cosa sia da ricomprendere nell'una e nell'altra fattispecie. I link che ho inserito riportano delle spiegazioni abbastanza esaustive di un sito istituzionale (la regione Lazio), e chi avrà la pazienza di leggere troverà sicuramente una risposta ad ogni dubbio.
Qui ci interessa chiarire che, dunque, in Italia, nel 2012, licenziare legittimamente un dipendente è possibile.
E non è possibile solo in pochi e sporadici casi. Si può licenziare qualcuno perché ha
accusato il suo superiore senza prove, perché ha uno
scarso rendimento, perché ha
rubato in azienda, perché ha consentito che
terzi utilizzassero il proprio pc aziendale contenente dati riservati, perché ha
istigato i colleghi al sabotaggio, perché
timbra al posto del collega e per altre decine di motivi che chiunque può trovare con una ricerca su google o direttamente sul sito della Cassazione.
Cos'è, allora, che non va nell'art.18? Perché, nonostante gli Italiani si siano dichiarati apertamente contrari, in occasione del
Referendum del 2003 alla sua abolizione, gran parte dei media e l'intero centrodestra italiano vedono questa norma come e peggio del fumo negli occhi? A questa domanda non voglio rispondere. Ognuno si faccia la sua idea. Io voglio solo che si sappia che ogni volta che qualcuno dice che in Italia è impossibile licenziare, mente. In Italia è solo sanzionato con la reintegrazione nel posto di lavoro il licenziamento
ingiustificato o
discriminatorio. Nel primo caso quando avviene in una azienda che impiega più di 15 lavoratori, nel secondo caso a prescindere dalla dimensioni dell'azienda.
Buon giorno è impossibile licenziare qualcuno salvo pagare un ( obolo ) cospiquo al lavoratore. non c'è un caso che non sia impugnabile, non c'è un giudice che dia ragione al datore di lavoro.
RispondiEliminaquesta è la verità, i"""" padroni"""" fanno bene ad investire in Corea o nelle Antille, anche in Congo e smpre meglio dell'ITALIA.
Lei vive su marte..
RispondiEliminaIn italia licenziare e' molto difficile.
"teoricamente" si puo' licenziare per rendimento insufficiente, ma lei ha mai provato? Lei ha mai avuto un'azienda, dei dipendenti? Ha mai dovuto parlare con I sindacati? Le devo fare la lista di "ladri" reintegrate? Chi ha postato in precedenza ha scritto benissimo, se in italia vuoi licenziare devi pagare un obolo..ora torni su marte