30.1.14

Il cavallo di Caligola in Parlamento ci va con qualunque sistema

Pubblicato su Huffington Post il 28 gennaio 2014
Da quando Matteo Renzi ha incontrato Berlusconi al Nazareno ed ha chiuso l'accordo sulla nuova legge elettorale si è scatenato un dibattito partecipatissimo. Da popolo di commissari tecnici per eccellenza ci siamo trasformati in popolo di costituzionalisti ed esperti di sistemi elettorali.
Il tema che, più degli altri, ha scosso le coscienze è quello delle preferenze. Berlusconi non le vuole in nessun modo. Il PD che fino a ieri non era disposto ad accettarle a nessun costo è ora spaccato e, precisamente, il neo segretario dice di essere in teoria per le preferenze ma di aver accettato i collegi plurinominali come compromesso mentre la minoranza si è scoperta improvvisamente innamorata del voto personale (su YouTube gira questo video sarcastico del quale, tuttavia, colpiscono i toni perentori contro le preferenze utilizzati dalla vecchia dirigenza). I partiti più piccoli, dal Nuovo Centro Destra all'UDC si erano da tempo schierati per le preferenze e ora tengono il punto.
Ma è davvero questo il nocciolo della questione? Davvero all'improvviso il sistema attraverso il quale si seleziona un deputato è sintomo di maggiore o meno democrazia?
Si dirà che per anni il porcellum è stato (a parole) criticato da tutti per essere un sistema che "non consente ai cittadini di scegliere chi mandare in Parlamento". La considerazione è senz'altro giusta, ma corrisponde al vero? I partiti hanno realmente utilizzato il porcellum per mandare in Parlamento chiunque, ricordando il famoso aneddoto di Caligola e del suo Cavallo potenziale senatore?
Io non la penso così. Vediamo perché.
I numeri.
Senza troppi sforzi, sul sito della Camera sono disponibili le statistiche relative ai deputati delle ultime 4 legislature prima di quella attuale. Nelle prime due si è votato con il mattarellum (1996 e 2001), nelle ultime due con il porcellum (2006 e 2008). Se andiamo a confrontare il tasso di ricambio, ovvero la percentuale di neo deputati, notiamo dati assolutamente omogenei: gli eletti per la prima volta alla Camera sono stati 281 nel 1996, 285 nel 2001, 300 nel 2006 e 282 nel 2008. Secondo il fan club delle preferenze i partiti attraverso il sistema delle liste bloccate avrebbero tolto ai cittadini il diritto di scegliere. I numeri ci dicono che su 4 legislature, in un intervallo di 12 anni, non solo il dato relativo ai deputati neoeletti è costante, ma è del tutto evidente che i partiti non hanno approfittato del porcellum per stravolgere il Parlamento.
La memoria.
Io ero piuttosto giovane, ma il movimento referendario del 1991 e del 1993 me lo ricordo bene. Per l'abolizione della preferenza multipla votarono quasi 27 milioni di italiani. Il 95,6% dei votanti. Fu un vero e proprio plebiscito ed è bene ricordare che tra i referendum per i quali il movimento guidato da Mario Segni raccolse le firme c'era anche quello per rendere uninominale il sistema con il quale venivano eletti i senatori. Referendum che fu riproposto 2 anni più tardi ed al quale gli italiani risposero con un assordante coro di quasi 29 milioni di sì. Fu a seguito di quei referendum che venne approvato il mattarellum, sistema maggioritario con riserva proporzionale, e non furono in pochi a criticarlo proprio per il mantenimento di una quota proporzionale. Tant'è vero che nel 1999 ci si riprovò. Ancora attraverso un referendum si tentò di abolire definitivamente la quota proporzionale del mattarellum, per renderlo totalmente maggioritario. L'obiettivo fu letteralmente sfiorato. L'affluenza si fermò al 49,6% ed il proporzionale restò in vita, nonostante gli oltre 21 milioni di sì. Dunque, ancora nel 1999, appena una manciata di anni fa, un vasto movimento di opinione vedeva nel superamento del sistema proporzionale e del meccanismo delle preferenze un elemento di modernità e di pulizia (nel 1999 lo schieramento referendario era guidato da Occhetto e Di Pietro).
I collegi sicuri, i nominati ed i paracadutati.
In molti, tra quelli che criticano l'Italicum, asseriscono che il collegio plurinominale, attraverso il listino bloccato, ancorché corto, non consentirebbe realmente ai cittadini la piena libertà di voto. Ma il mattarellum era davvero un sistema che consentiva ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti? In realtà, mattarellum vigente, si parlava spesso di collegi sicuri, incerti e perdenti, ovvero della suddivisione dei collegi elettorali in base all'orientamento storico dimostrato alle elezioni precedenti. Le possibilità di essere eletti per uno schieramento in alcuni collegi rasentava la sicurezza, come dimostrarono i casi di Antonio Di Pietro eletto nel Mugello e di Bobo Craxi eletto a Trapani.
Si parlava in questi casi di paracadutati, ovvero di candidature totalmente estranee ai territori, calate dall'alto per tutelare qualche pezzo da 90 della nomenclatura o, sovente, per assicurare il seggio sicuro a qualche alleato altrimenti recalcitrante. Andando a cercare tra gli articoli di cronaca dell'epoca mattarellum si scopre che, ad esempio, l'Ulivo nel 2001 considerava sicuri "solo" 118 collegi. Alle elezioni il centrosinistra avrebbe conquistato 183 seggi, compresi quelli ottenuti con il riparto della quota proporzionale a seguito dello scorporo. Il che significa che la dirigenza dei partiti dell'Ulivo, all'epoca, nominò quasi completamente la propria rappresentanza in Parlamento. Roberto Gritti in "Frammenti di Seconda Repubblica" (Nuova Cultura Editore) con uno studio molto approfondito dimostra come, a seguito dell'alleanza di centro destra che includeva la Lega, nel Nord Italia nel 1994 i collegi considerati "sicuri" erano addirittura il 79% del totale. Se, anche in questo caso, aggiungiamo la quota di parlamentari che venivano recuperati con il proporzionale (lo ricordiamo, con un listino bloccato), arriviamo alla conclusione che quasi il 100% dei deputati di Centro destra del 1994 furono letteralmente cooptati dalle segreterie di Lega e Forza Italia. Con buona pace del diritto di scegliere dei cittadini.
Dagli ai partiti.
Dunque, l'impressione è che l'opinione pubblica da tangentopoli in poi si orienti semplicemente in maniera antitetica ai partiti più rappresentativi. Maggioritari quando la DC era proporzionalista, anti preferenze quando Craxi invitava ad andare al mare, a favore delle preferenze e tendenzialmente proporzionalisti oggi che PD e Forza Italia hanno trovato un accordo su una legge maggioritaria che non prevede le preferenze.
Non c'entra niente il diritto di scegliere i propri rappresentanti che, come abbiamo visto sopra, è sempre stato (e sempre sarà, com'è giusto che sia in un sistema di democrazia indiretta) saldamente nelle mani dei partiti.
C'entra, piuttosto, una certa riottosità italiana al cambiamento, specialmente quando questo sembra a portata di mano. Gli indignados nostrani, i cui vizi ha magistralmente descritto Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore, sembrano muoversi come un pendolo, oscillando da una posizione all'altra a seconda di come si muovono i partiti maggiormente rappresentativi o, per dirla come si usa oggi, la casta.
Questo ci conduce al reale nocciolo della questione. Il rapporto tra governanti e governati, la selezione delle classi dirigenti e la loro accountability. Sarebbe forse il caso di smettere di cercare di impedire a Caligola di nominare senatore il proprio cavallo e di cominciare a chiedersi come individuare, riconoscere e sanzionare le responsabilità del cavallo e, di conseguenza, di Caligola.

26.1.14

Risvegli.



Ce lo ricordiamo tutti il bellissimo film con Robert De Niro e Robin Williams.
Mutatis mutandis, una buona parte dei politici e dei commentatori in questi ultimi 7 giorni mi rammentano gli ammalati raccontati nel film di Penny Marhall.
Se ne stavano lì, catatonici, come negli ultimi 20 anni. Pronti a recitare a memoria la stessa parte.
Gli antiberlusconiani a parole, gli alfieri della sinistra giusta, a crogiolarsi nei loro "nella misura in cui". Poi, un giorno, sono arrivate le primarie dell'8 dicembre 2013. 2 milioni di barbari hanno eletto Matteo Renzi a capo del PD. E all'improvviso, eccoli: risvegli.
Da allora è un susseguirsi di dichiarazioni e prese di posizione. Gente che si vergogna che ci si incontri con Berlusconi dopo aver governato con la fiducia di Berlusconi. Pasdaran delle preferenze che pochi mesi fa le consideravano come il male assoluto. Paladini della rappresentanza dei piccoli partiti che scrivevano articoli contro la frammentazione politica. Tutto ed il suo contrario.
Il perché è semplice: la legge elettorale non c'entra niente. E' una questione di orgoglio personale. Ci hanno raccontato per 20 anni che non era possibile, che il fallimento era nelle cose e non nella loro scarsa attitudine alla politica. E invece non è così. Le cose si possono fare. Gli obiettivi si possono raggiungere.
Non era impossibile, erano loro che erano scarsi. Molto, molto semplicemente.
Ah, il film finiva con i catatonici che tornavano catatonici.

24.1.14

Grillo preferisce perdere.




Va gridando ai quattro venti che vuole cambiare l'Italia, che il Movimento 5 Stelle vuole mandare tutti a casa, ma ieri, durante la conferenza convocata per la stampa estera, abbiamo scoperto la verità: Grillo di governare non ne vuole proprio sapere.
Il solo pensiero lo fa impazzire.
Farebbe, anzi, fa qualunque cosa cosa pur di non governare. 
Sappiamo tutti che a Febbraio del 2013, dopo lo straordinario risultato elettorale che ha conseguito alle elezioni, gli fu offerto di formare un governo insieme al PD di Bersani. Un governo di scopo, visto che l'ex segretario del PD aveva individuato 8 punti specifici da affrontare.
Non se ne fece niente. Il Movimento rifiutò davanti agli occhi di tutti, in un memorabile confronto in diretta streaming alla fine del quale ci siamo augurati tutti che davvero il M5S provvedesse a cambiare i capigruppo ogni 3 mesi (promessa che per fortuna hanno mantenuto).
Non se n'è fatto niente quando, un mesetto fa, Matteo Renzi ha proposto il famoso #beppefirmaqui, un pacchetto di riforme istituzionali in grado di far risparmiare un miliardo di euro all'anno, per sempre, all'Italia.
E niente di fatto nemmeno per la legge elettorale, sulla quale Grillo e Casaleggio hanno deciso che non era nemmeno il caso di ascoltare la proposta del PD.
In tutte queste occasioni il riccioluto genovese si è esibito (tra "zombie", "ebetino" e altre simili amenità) in una serie infinite di scuse impapocchiate alla bell' e meglio. E' andato da "la fiducia mai, ma voteremo le singole proposte", a "questo Parlamento è illegittimo e non può decidere niente" e così via.
Ma la pietra tombale, la vera conferma che Grillo non ha nessuna intenzione di fare alcunché per gli Italiani l'abbiamo avuta ieri durante la conferenza stampa di cui parlavo.
La legge elettorale - ha tuonato Mr. 5 stelle - l'hanno fatta apposta contro di noi. Ci vogliono eliminare!
Quando ho letto questa frase non ci potevo credere. Sono andato a cercare l'audio della conferenza per sentirla con le mie orecchie. Tutto vero. Ha proprio detto così.
Allora sono andato a rileggermi la bozza dell'Italicum, per cercare la parte che contiene la norma elimininacinquestelle. Ma non l'ho trovata. Anche perché il Peppone nazionale mica ce l'ha detto in che modo vogliono farlo fuori.
O meglio, una cosa l'ha detta: 
«La legge elettorale che stanno facendo questi due è per fermare noi che siamo la variabile impazzita». Con l’Italicum «noi saremo tagliati fuori - ha proseguito -immaginate il ballottaggio tra noi e il Pd. A chi indirizzerà il voto Berlusconi con le sue tv e i giornali. Lo sappiamo che non abbiamo scampo per andare al governo.»
Ma come Grillo, perché parli di ballottaggio? Ma se neanche 2 mesi fa, alla vigilia del "memorabile" terzo Vaffanculo Day, avevi detto che i pentastellati avrebbero preso il 51%?
Che è successo, tra Natale e Capodanno hai già ridotto il tuo obiettivo di 16 punti percentuali?
E sì, perché per andare al ballottaggio che tanto temi, caro Mr. 5 Stelle, devi prendere meno del 35%.
E tu che dici sempre che vuoi andare a votare con la legge proporzionale pura attualmente in vigore, dove per "vincere" veramente dovresti prendere il almeno il 51%, ora ti metti paura dell'Italicum dove per vincere basta il 35%? 
Qualcosa non torna.
A meno che.
A meno che non sia proprio questo il problema. Che con questa legge maggioritaria esista una, seppur lontana, possibilità che davvero il Movimento 5 Stelle vinca le elezioni.
Un po' come Nanni Moretti in "aprile" che racconta al telefono "Ho chiesto di assistere al parto, spero mi dicano di no".
Immaginiamo che nessuno lo raggiunga il 35% e che Grillology sia davvero il secondo o, perché no, il primo partito. Cosa realmente gli impedirebbe di vincere le elezioni?
Certo, si potrebbe tentare di condizionare il voto impiantando microchip almeno alla metà degli elettori, ma 22 milioni di microchip non è uno scherzo impiantarli in 2 settimane.
Si potrebbe tentare con l'irrorazione massiccia di gas condizionanti utilizzando gli aerei delle scie chimiche, ma anche qui, mica è semplice.
La realtà è che non c'è proprio niente che impedirebbe a Mr. 5 Stelle di vincere le elezioni a parte, si spera, il buon senso degli Italiani.
E allora, proprio per questo, quella possibilità va scongiurata. Appena Grillo si è reso conto che, con la nuova legge, il suo Movimento potrebbe riuscire vincitore dalle urne è andato in tilt.
Grida al complotto, agita i fantasmi dell'inciucio e dell'autoritarismo.
Come farebbe il Movimento se vincesse?
Leggi, Commissioni, Incontri internazionali, regolamenti, problemi, coperture finanziarie...
E' così comodo starsene lì, senza far nulla.
Preferisce perdere.
Un po' come il cinematografico presidente della Longobarda.


22.1.14

L'Italia cambia (mentre tutti parlano delle preferenze).


Da quando è stata resa pubblica l'intesa raggiunta con Forza Italia sulla riforma elettorale e su quella Costituzionale, il dibattito si è concentrato quasi esclusivamente sul tema preferenze sì, preferenze no.
Sul punto ho già scritto come la penso, ma lasciatemi dire che sono molto meravigliato del fatto che al resto dell'accordo non sia stata dedicata l'attenzione che merita.
Eppure la carne a cuocere non manca.
Nel progetto di riforma, innanzitutto, c'è la fine del bicameralismo perfetto. Il Senato non avrà più la potestà legislativa e il modello abbozzato potrebbe risultare simile a quelli esistenti in altri Paesi (Camera dei Lords, Bundesrat, Senato francese), dove alla seconda camera sono attribuiti poteri di controllo, a volte anche di veto su alcune materie, ma il procedimento di approvazione delle leggi è sensibilmente più snello di quello attualmente in vigore da noi. Qualche giorno fa Battista sul Corriere ha raccontato del declino del Senato. Io, pur condividendo alcune considerazioni, sono convinto che non sia quello il punto. Se fosse una questione di prestigio delle istituzioni, dovremmo abolirle tutte, purtroppo. Invece ritengo sia una questione di essere al passo coi tempi. Il Senato era stato disegnato per rappresentare le Regioni in un'Italia che le Regioni ancora non le aveva (bisognerà aspettare il 1970). Dopo che la riforma (sulla quale tornerò tra un attimo) del Titolo V della Costituzione ha attribuito alle Regioni un'ampia potestà legislativa, ha ancora senso mantenerlo? Secondo me no. Per questo guardo con favore all'introduzione del moncameralismo.
C'è poi, la questione delle Regioni. Sotto l'aspetto del taglio alla spesa pubblica si introduce un tetto alle prebende dei consiglieri regionali (il che non può che far piacere) ma, soprattutto, si accenna ad una revisione dell'art. 117 della Costituzione, con la fine della potestà legislativa concorrente (che tanto conflitto innanzi alla Corte Costituzionale ha generato) ed una ripartizione rigida delle materie tra Stato e Regioni. Si tratta, a mio modestissimo avviso, di un intervento provvidenziale. La potestà legislativa delle Regioni è stata utilizzata, dal 2001 ad oggi, poco e male. Una ridefinizione delle competenze è necessaria e, in concomitanza con la da troppo tempo annunciata abolizione delle Province, potrà essere l'occasione per disegnare un assetto dello Stato più moderno ed efficiente.
Fa sul serio Renzi? Ci riuscirà a portare avanti le Riforme di cui, da anni, sono pieni i programmi dei partiti, i discordi di fine anno del Presidente della Repubblica e quelli di insediamento dei Presidenti del Consiglio?
Naturalmente in questo momento nessuno può dirlo. Gli interlocutori di Renzi non hanno mai brillato per affidabilità, tutt'altro. Ci sono però un paio di considerazioni da fare. La prima: i tempi della legge elettorale sono talmente brevi che se qualcuno ha intenzione di bluffare non tarderà a scoprirsi. La seconda: fatta la legge elettorale, le riforme costituiranno l'assicurazione sulla vita del Governo. Da quel momento in poi, infatti, l'argomento che le nuove elezioni non garantiranno un governo non potrà più essere utilizzato. Al primo intoppo, quindi, si tornerebbe alle urne.

21.1.14

La differenza tra le riforme e l'inciucio


Dunque, dopo il voto nella direzione nazionale del PD, c'è l'accordo. Un accordo ampio, che comprende sicuramente PD e Forza Italia, ma probabilmente anche Scelta Civica e Nuovo Centro Destra. Forse anche SEL. Fuori, come sempre, rimangono Grillo e il suo partito freezer che hanno congelato 9 milioni di voti.
Un accordo ampio anche per quanto riguarda i contenuti: legge elettorale, abolizione del Senato come lo abbiamo conosciuto sinora, abolizione definitiva delle Province e nuova riforma del Titolo V della Costituzione.
Si può essere scettici sulla tenuta dell'accordo (ma, visti i tempi dettati da Renzi, risolveremo i nostri dubbi molto presto). Si possono avere legittimi dubbi sul merito dell'accordo, ma una cosa è certa: la politica italiana non subiva un'accelerazione così veemente dai tempi di tangentopoli, quando il movimento dei referendum costrinse il Parlamento ad approvare il Mattarellum e, subito dopo, ad intraprendere una serie di riforme importanti.
Il merito è ovviamente degli elettori del PD che, nonostante il PD, nonostante le tante delusioni e le infinite vicissitudini del partito, a Dicembre si sono recati ancora una volta in massa ai gazebo per votare il nuovo segretario. 3 milioni di cittadini disposti a pagare ancora una volta 2 euro per smuovere la politica dall'inspiegabile torpore che l'avvolgeva.
Matteo Renzi, forte di quel voto, dal 9 dicembre ha cominciato a correre come un matto. 
Per la prima volta in vita mia mi è venuto in mente un paragone quasi sacrilego. Per me, maradoniano senza se e senza ma, l'azione di Renzi è paragonabile al gol del secolo. Quando Diego prese la palla a centrocampo e con una magica giravolta si liberò di due avversari, nessuno poteva sapere che qualche secondo dopo avrebbe depositato il pallone alle spalle di Shilton. Così, con lo splendido discorso della vittoria alla primarie, Matteo Renzi ha cominciato la sua corsa verso la porta. Il gol ancora non l'ha segnato, siamo ancora distanti dalla porta e tutto può avvenire, ma i primi dribbling sono stati entusiasmanti e siamo in quella fase in cui il pubblico, presagendo la segnatura, comincia ad alzarsi dal sediolino, pronta ad esultare.
Ogni tanto temo che sia solo la mia voglia di cambiamento che mi spinge ad essere così fiducioso. Speriamo di no.
Tornando seri, una cosa va chiarita. Anche oggi, su Repubblica, ci si chiede cosa distingua il patto siglato da Renzi e Berlusconi dai tanti (peraltro falliti) tentativi di inciucio ai quali abbiamo assistito in questi 20 anni.
Beh, la risposta credo sia semplicissima. Il contenuto di questo accordo è sotto gli occhi di tutti. Chiaro e limpido. Gli altri tentativi, i vari patti della crostata, invece, riguardavano anche le questioni personali e personalissime di Berlusconi.
Matteo Renzi non ha parlato di giustizia con il Cavaliere. Né di conflitto di interessi. Non ha cercato l'intesa cedendo su quei temi, come invece ha tentato di fare più volte il centrosinistra.
Si può condividere o meno, ma l'accordo raggiunto riguarda solo ed esclusivamente le riforme.
Tra qualche settimana sapremo se possiamo esultare per il gol o dovremo metterci le mani tra i capelli per l'ennesima occasione sprecata, ma di una cosa siamo certi: c'è una differenza enorme tra quello che sta facendo il nuovo PD e gli inciuci di dalemiana memoria.

19.1.14

Non era la mancanza delle preferenze il problema del Porcellum.


Renzi e Berlusconi hanno una intesa di massima sulla riforma della legge elettorale (e non solo, ma questo è un altro discorso). La proposta definitiva la conosceremo domani, ma intanto trapelano le indiscrezioni e ferve il dibattito, in rete e non solo.
Una delle cose di cui si dibatte moltissimo è che nella nuova legge elettorale non ci sarebbero le preferenze. Renzi e Berlusconi si sarebbero accordati su una legge proporzionale che preveda, nei vari collegi, la presentazione di listini bloccati, formati da 3, 4 o 5 nomi.
Apriti cielo. Insorgono i difensori della democrazia, propinando un insolito, e per me strampalato, assioma: non c'è democrazia senza le preferenze.
Ora, pur non essendo anzianissimo, ricordo perfettamente il dibattito degli ultimi 20 anni e più sulla legge elettorale e, devo dire la verità, questa verità mi era finora sfuggita.
Anzi, io ero convinto proprio del contrario. Nel 1991, io non votavo ancora, ricordo che oltre il 95% dei votanti (più di 26 milioni di voti!) abrogarono la preferenza multipla con la quale allora si eleggevano i rappresentanti della Camera dei Deputati. Un plebiscito. Quel referendum, è bene ricordarlo, arrivò alla fine di un percorso che Mario Segni cominciò nel 1988, con il manifesto dei 30 e fu l'arma vincente di un vasto movimento di opinione che vedeva proprio nelle preferenze uno dei maggiori problemi della democrazia (Non vogliamo più essere truffati, tuonava il costituzionalista Barile dalle pagine di Repubblica, spiegando tutto il marcio del sistema a preferenze multiple).
La stagione referendaria continuò e nel 1993 quasi 29 milioni di italiani (l'82,7% dei votanti) eliminarono il sistema proporzionale del Senato, introducendo di fatto il maggioritario. Qualche mese dopo fu introdotto per legge il mattarellum con il quale abbiamo votato fino all'introduzione dello sciagurato porcellum.
Già, sciagurato porcellum. Ma perché sciagurato? Non certo perché mancava la previsione del voto di preferenza. All'indomani del voto del 2006 scrissi un articolo per Mezzogiorno europa nel quale spiegavo che Berlusconi, con il porcellum, aveva di fatto cancellato la politica dei territori, portando il confronto unicamente al livello nazionale. Con quella legge, con le liste bloccate lunghissime, di fatto si rendeva inutile la campagna elettorale a livello locale, con conseguente scollamento totale della classe dirigente eletta (la gran parte della quale veniva nominata, essendo sicura dell'elezione qualunque fosse il risultato delle elezioni) dagli elettori. Gli eletti, così, non avevano più alcun legame con i territori, nessuno a cui rispondere, il che favoriva fenomeni di asservimento ai tre o quattro leader nazionali da un lato e, dall'altro, rendeva impossibile esercitare il controllo democratico da parte della popolazione, per il semplice fatto che, in circoscrizioni così grandi, non si sapeva chi aveva eletto chi. 
Ed è proprio questo il motivo per cui la Corte Costituzionale ha ritenuto il porcellum lesivo della libertà di voto.
Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).
Dunque, lo dice la Corte Costituzionale, un listino bloccato corto garantirebbe il rispetto della libertà di voto e sarebbe pienamente legittimo, così come pienamente legittimo era il mattarellum, basato sui collegi uninominali.
Sgombrato il campo, dunque, dalla regola inventata per la quale "preferenze = democrazia" vorrei brevemente elencare tutte le cose che mi fanno venire in mente le preferenze.

Gava
Scotti
Cirino Pomicino
e poi lui
Mister Centomila preferenze Alfredo Vito
Bettino Craxi che invita gli elettori ad andare al mare al referendum del 1991 ed il PDS che come un sol uomo (e non è accaduto spesso) si scagliò contro “le clientele e la competizione insensata tra personalità”.
Batman Fiorito, che con i suoi 26.217 voti è stato il consigliere più votato del LazioL'inchiesta dell'espresso, che ci dice che sono 521 (almeno) i consiglieri regionali indagati in tutta Italia (tutti eletti a botte di migliaia di preferenze).
e potrei continuare.

Certo, con il porcellum abbiamo avuto in Parlamento Razzi, Scilipoti, De Gregorio. Per altri versi la Carfagna (la quale però, quando si è presentata alle regionali in Campania ha preso 55.740 preferenze!), ma non riuscirete a convincermi che la guerra delle preferenze vuol dire democrazia.

18.1.14

Le riforme, Fidel e l'apocalisse.



Another head hangs lowly, child is slowly taken 
And the violence caused such silence 
Who are we mistaken 
(The Cranberries - Zombie)


Per un po' ho avuto la tentazione di farlo. Sono andato a cercare su google tutte le dichiarazioni (migliaia) dei politici che negli ultimi 20 anni ci hanno detto che le "regole del gioco" si fanno con la più ampia maggioranza possibile. Poi ho desistito. Da una parte sono davvero troppe, dall'altra è da farabutti sparare sulla croce rossa.
Dunque, il tanto temuto colloquio si è tenuto. Nonostante le reazioni isteriche di tanti elettori e militanti di centrosinistra (tra parentesi, mentre leggevo i loro tweet da fine del mondo mi chiedevo cosa sarebbero stati capaci di scrivere se ci fosse stato twitter ai tempi, per esempio, della svolta di Salerno), Matteo Renzi ha visto Silvio Berlusconi. Per la precisione è stato il leader di Forza Italia a recarsi da Renzi, nella sede del PD. Se volete posso chiamarlo "il pregiudicato", come pare piacere a molti, ma non è che faccia molta differenza. Il punto è che le riforme vanno fatte. Lo sappiamo tutti. Il Governo che Letta presiede è nato proprio per questo, per fare le riforme. Non era, all'inizio, nemmeno un vero e proprio governo politico, era mezzo tecnico e dentro c'era pure Berlusconi, il quale non è uscito dal Governo dopo essere diventato un pregiudicato. No. E' uscito per altre cose. E quelli che non sono usciti con lui, i nostri alleati del Nuovo Centro Destra (ogni volta che lo dico mi scappa da ridere), da allora fanno a gara a chi si dichiara più berlusconiano o diversamente berlusconiano. Ma vabbè, questo fatto che si sia incontrato con Renzi pareva dover scatenare l'apocalisse. Già mi vedevo i pavimenti tremare, il Che e Fidel che emergono dalle foto, prendono vita e se ne vanno schifati. Invece no. 2 ore e mezza e poi la conferenza stampa. E noi siamo ancora tutti qui, tutti interi. E pure il Che e Fidel sono ancora lì. E le riforme, invece, forse sono un po' più vicine. Lo ha detto Letta, subito dopo l'incontro. No, non Letta zio, che all'incontro ha partecipato, ma Letta nipote. Pare che si vada nella giusta direzione. Ma come? E io che mi ero rassegnato al finale horror, con Renzi che viene fuori dal Nazareno con gli occhi da zombie. Mannaggia.
Stai a vedere che, alla fine, si fanno veramente le riforme. E tutti quelli che negli ultimi 20 anni sono diventati bravissimi a recitare la loro parte, dovranno cercarsi un nuovo personaggio da interpretare.

14.1.14

Onorevole, che busta vuole? La uno, la due o la tre? (Basta che si sbrighi)



Finalmente la Consulta rende note le motivazioni della sentenza con la quale è stato dichiarato incostituzionale il Porcellum. Al di là della disamina tecnica (qui una prima analisi di Ceccanti), il dato politico è che le tre proposte messe sul piatto da Matteo Renzi sono tutte e tre legittime e pienamente costituzionali.
Con buona pace di Grillo e tutto il M5S che, invece, nei giorni scorsi aveva improvvidamente definito incostituzionali le proposte del segretario del PD (si aspettano le scuse o, in alternativa, l'invettiva contro la casta).
Ora il Parlamento può scegliere una delle tre proposte. Proprio come se fossimo in un quiz di Mike Bongiorno. La uno, la due e la tre pari sono e la speranza è che finalmente ci si decida a sanare la ferita inflitta al popolo italiano da 7 anni di Porcellum.
Quella legge, infatti, va ribadito, fu costruita da centrodestra e Lega nel dicembre del 2005 con il solo scopo di rendere impossibile la vittoria del centrosinistra alle elezioni del 2006. E per raggiungere quell'obiettivo Berlusconi e soci non si fecero scrupoli nel cancellare il diritto dei cittadini a scegliere i propri rappresentanti. 
La Corte su questo è stata molto chiara: i partiti hanno usurpato una prerogativa dei cittadini. E lo hanno fatto per 7 anni consecutivi, anche il PD che non ha mai seriamente lottato per restituire agli elettori il diritto a scegliere chi mandare in Parlamento.
Ora la musica è cambiata, Renzi aveva indicato la nuova legge elettorale tra le proprie priorità ben prima che la Corte dichiarasse illegittimo il Porcellum e voglio ricordare che un parlamentare del PD, Roberto Giachetti, senza arrendersi mai, anche senza il sostegno del proprio partito, ha portato avanti uno sciopero della fame di 70 giorni tra ottobre e dicembre e non era la prima volta. Il conto degli anni persi a causa della politica inetta e cialtrona non lo voglio tenere più. Ora vorrei contare i giorni che ci separano da una nuova legge elettorale e non vorrei arrivare nemmeno fino a trenta.

8.1.14

Marchette, trabocchetti, vuoti di memoria e assalti alla diligenza.


Ogni giorno un italiano si sveglia e sa che deve correre a spulciare leggi ed emendamenti in corso di approvazione prima che l'ennesima norma allucinante venga approvata.
Oggi è il turno degli insegnanti delle scuole pubbliche ai quali il governo chiede la restituzione di circa 150 euro al mese percepiti nel 2013. A seguire, manfrina intragovernativa, con Carrozza che chiede di ripensarci, Saccomanni che un po' difende il provvedimento, un po' dà la colpa ai governi precedenti (non guasta mai). Infine la notizia che il provvedimento è stato ritirato.
Poche ore prime si era fatta largo sui giornali una ipotesi di cancellazione del super bollo sulle auto di lusso. Dal MEF arriva una mezza smentita  “ci sono tante cose in ballo per il rilancio del settore, e tra queste anche le forme di tassazione. Ma sul punto non c'è ancora niente di definito”. Ne sapremo di più prossimamente.
Se andiamo indietro appena di un paio di settimane siamo costretti a ripescare decine di notizie simili, dalle slot machine agli sgravi sui finanziamenti ai partiti e chi più ne ha più ne metta.
Incidentalmente mi viene in mente che ognuna di queste vicende sarebbe stata più idonea a giustificare le dimissioni di un viceministro rispetto alla battutina del segretario del PD, ma evidentemente Fassina, mentre al Ministero studiavano queste splendide misure, teneva conferenze sull'equità e sui partiti padronali. Poi si è lamentato dicendo che Renzi in questo mese ha fatto apparire marchettaro chi stava al governo "responsabilmente" (sic). Ma lasciamo perdere le vicende relative alle correnti interne del PD.
Il punto che mi preme è che tra le tante prassi alle quali bisognerebbe cambiare verso una sempre più urgente riguarda la tecnica legislativa. Emendamenti monster, leggi che contengono tutto e il loro contrario (sul cd Salva Roma è dovuto intervenire Napolitano e non è la prima volta), rinvii e contro rinvii rendono impossibile il controllo democratico sull'attività legislativa di Parlamento e Governo.
Tra le priorità indicate da Matteo Renzi durante la campagna elettorale per le primarie c'era la semplificazione delle norme relative al diritto del lavoro. Necessità ineludibile anche secondo il sottoscritto, ma per evitare che continui interventi di semplificazione si rendano necessari in ogni materia e continuamente bisogna cambiare il modo in cui si legifera. Norme brevi, chiare, scritte in italiano, prive di rinvii e, soprattutto, trasparenti. 
Basta alle leggi omnicomprensive, ai vari milleproroghe. Basta alle leggi con un solo articolo e migliaia di commi. Basta alle disposizioni assolutamente non inerenti il contenuto delle leggi.
Recuperare la fiducia dei cittadini è un passo ineludibile per chi voglia governare l'Italia, oggi e domani. Ma è un passo impossibile se si nascondono continuamente insidie nelle pieghe dei provvedimenti legislativi. E lo spettacolo di "non so", "rimedieremo", "si tratta di un equivoco", "è una norma passata per sbaglio" al quale stiamo assistendo ininterrottamente da non so quanto tempo è pari se non peggiore alle peggiori vicende relative all'abuso dei rimborsi elettorali. Chi semina trabocchetti, marchette e vuoti di memoria raccoglie antipolitica e sfiducia. Ricordiamocelo.

4.1.14

Mi scindo quindi esisto?


E così un sabato di inizio anno, un prefestivo, pochi minuti prima del tg delle 20, Stefano Fassina, viceministro all'economia ha presentato le sue dimissioni irrevocabili dall'incarico che ricopre.
Un mandato, quello di Fassina, che non rimarrà certo nella storia per la brillantezza. Parecchie polemiche (sull'evasione fiscale di sopravvivenza, sul fatto che al ministero non gli passavano le carte...) e pochi fatti chiudono i 9 mesi al governo di uno degli esponenti dei furono giovani turchi, sostenitori convinti prima di Bersani (in foto) e poi di Cuperlo. Le motivazioni fanno un po' acqua, secondo me. Fassina dice di non essere in linea con Renzi e, quindi, di non ritenersi adatto all'incarico. Ci sarebbe molto da ridire su questa cosa, posto che il PD è al governo con il centrodestra e che la linea del Governo non era nemmeno quella di Bersani (spero). Non mi pare, tuttavia, che Fassina abbia opposto resistenze ad assumere l'incarico. 
Ma il dato più interessante di questa vicenda non è quello che Fassina smette di fare, è quello che farà da domani.
Dalla sera dell'8 dicembre, infatti, da quando cioè Matteo Renzi ha sbaragliato la concorrenza alle primarie del PD, la vecchia guardia, quella che si è schierata con Cuperlo, mostra più di qualche insofferenza al ruolo di minoranza interna. Vero è che Gianni Cuperlo ha accettato il ruolo di Presidente dell'Assemblea Nazionale, ma più di qualcuno ipotizza che Bersani, D'Alema, Fassina, Orfini e il pezzo di CGIL che alle primarie si sono candidati con Cuperlo, ad essere rappresentati da Matteo Renzi proprio non ce la fanno.
Si fa largo, quindi, l'ipotesi scissione. 
Mi viene da ridere, perché la vulgata che accompagnò le primarie del 2012, quelle vinte da Bersani, era proprio questa, ma rivolta a Renzi. "Vedrai - mi dicevano - quando Renzi perderà le primarie si farà un partito tutto suo". Invece Renzi nel PD ci è restato, ha fatto la campagna elettorale per Bersani, si è ripresentato l'anno successivo e ha vinto.
Io spero che le voci siano voci e che non sia vero che quel pezzo di PD ritiene di aver bisogno di una scissione per affermare la propria identità. Sarebbe l'ennesimo momento in cui quella classe dirigente si dimostra incapace di cogliere le necessità della società e, al contempo, bisognosa di affermare se stessa in contrapposizione a qualcuno. Anticraxiani l'altro ieri, antiberlusconiani ieri, antirenziani oggi. Ma non è che, alla fine, a furia di essere contro questo e contro quell'altro, si ritrovano da soli, contro tutti, contro gli italiani?

3.1.14

La parabola ittica discendente dei 5 stelle: da "vi apriamo come una scatoletta di tonno" a "muti come pesci".



Che tristezza la censura preventiva dei parlamentari 5 stelle da parte dei loro capi. 
Dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Dopo 9 mesi sono ridotti al silenzio, devono sottostare alla censura preventiva. Muti come pesci, anime perse che nuotano in una palla, giorno dopo giorno, mese dopo mese, in attesa dell'ordine che arriva dall'altro. Prima almeno Grillo&Casaleggio© si facevano vedere, poi è rimasto il blog, ora siamo agli sms. Che umiliazione.
"Non rispondete a Renzi, risponderemo a tempo debito". Più che una strategia sembra la paura a parlare. Paura che qualcuno degli eletti dal popolo italiano ma che risponde solo a Grillo&Casaleggio© potesse dirsi possibilista sul votare una legge elettorale insieme al PD. 
E sì che li ricordiamo tutti durante le prime settimane di vita parlamentare, per bocca di Crimi e Lombardi, cianciare di modello Sicilia, dire che "alleanze di governo mai, ma voteremo sicuramente le singole proposte che fanno parte del nostro programma".
E dire che il loro programma comincia proprio con una invettiva contro la legge elettorale che c'era e che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima 
"Il Parlamento non rappresenta più i cittadini che non possono scegliere il candidato, ma solo il simbolo del partito" 
E ci ricordiamo anche la manfrina sulla mozione Giachetti per abolire il porcellum, che fu votata strumentalmente dopo che il PD aveva già deciso di non approvarla. E ora? Ora che c'è la possibilità e, direi, la necessità di approvare la legge elettorale che fanno i grillati? Gridano alla pagliacciata, si astengono, si rifiutano di parlare. Come se fossero dei fratelli d'Italia qualsiasi. Hanno preso 9 milioni di voti e lasceranno che a votare la legge elettorale sia Forza Italia. Potrebbero decidere, si astengono. Poi magari alle prossime elezioni avranno anche il coraggio di ripresentarsi a chiedere il voto ai cittadini, dicendo che loro sono diversi dagli altri, che loro hanno restituito i rimborsi elettorali. Sinceramente, per stare lì a far nulla, per lasciare che decidano sempre gli altri, dovrebbero restituire tutto il resto, mica solo i rimborsi elettorali.

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