10.7.13

Chi non muore si risiede


"Chi non muore si risiede" era la frase che usava Marcello Marchesi per definire Andreotti. Non sono riuscito a trovare la data dell'aforisma, ma Marchesi è morto nel 1978 e Andreotti si è seduto ancora per parecchio tempo. Ultimamente mi sta capitando di ripensare al passato, ai vent'anni che ci separano da tangentopoli. La triste e amara considerazione è che di quel vento che accompagnò le inchieste degli anni '90 è rimasto solo il suffisso "-poli" da aggiungere un po' a caso a qualche parola che possa evocare uno scandalo, meglio se insignificante.
Solo che più il tempo passa, più la nostra classe dirigente per risiedersi cerca di non morire e più moriamo noi. La generazione che mi precede ha cominciato a mangiare i figli, non i propri, per carità, ma quelli del vicino sì. Oggi più che mai i figli di nessuno sono diventati il combustibile di chi comanda.
In tutto questo ci tocca assistere a questa pantomima di governo di unità nazionale, nato "in condizioni eccezionali" per "fronteggiare la crisi", "prendere importanti misure per la crescita" e, naturalmente, "per fare le riforme".
E invece niente, sta lì dal 28 aprile, senza dare un segno, senza una prospettiva. Non ci sono nemmeno i proclami. Si rinvia un po' tutto, si chiede all'Europa di essere più elastica nell'analisi dei nostri conti, si litiga un po' sulla giustizia, un po' sugli F35. Il futuro è un cronoprogramma vuoto, nel quale nessuno si azzarda a calendarizzare nulla.
E nessuno dice nulla. L'opposizione è inesistente (SEL) o impegnata a diminuire i propri ranghi (M5S).
Sono arrivato a sperare che dopo il declassamento di S&P di oggi torni a salire lo spread, forse un po' di paura riuscirà a smuovere le acque. O magari ci riuscirà l'interdizione di Berlusconi.
Qualunque cosa, comunque, è meglio di questa lenta agonia.

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