(Caino e Abele di Gaetano Gandolfi )
C 'è un passaggio del discorso di Matteo Renzi alla Convenzione del PD di Domenica scorsa che mi ronza in testa.
"Un leader", ha detto il sindaco di Firenze, "non crea seguaci ma altri leader. Liberiamoci dalla visione correntizia."
Quanto tempo era che non sentivo parlare in questi termini del problema della selezione del gruppo dirigente?
C'è stato un tempo, in Italia e nella sinistra italiana, in cui pensare ai dirigenti di domani, ai leader diremmo oggi, era all'ordine del giorno. Basti pensare alla storia del partito socialista e del partito comunista, dove i grandi dirigenti hanno sempre lavorato per assicurare la nascita e la crescita dei futuri gruppi dirigenti. Dopo Togliatti e Amendola sono venuti Napolitano e Berlinguer e poi Occhetto, D'Alema e Veltroni. Dopo Nenni, Pertini e Saragat sono venuti Mancini, Amato e Craxi.
Poi, ad un certo punto, quel processo si è interrotto, a partire dagli anni '80 le leadership della sinistra si sono occupate di preservare loro stesse anziché della loro successione. Al fianco dei leader, anzi, alle loro spalle, si sono affermati i cosiddetti delfini, sempre, immancabilmente, con qualcosa in meno rispetto al "capo". Così Martelli non era all'altezza di Craxi e, infatti, quest'ultimo precipitando agli inferi si è trascinato tutto il PSI. Così è accaduto nel PDS-DS, dove alle spalle del dualismo D'Alema-Veltroni c'era una classe dirigente ottima per i livelli locali (centinaia di sindaci) e per incarichi ministeriali (Fassino, Bersani) ma incapace di assumere su di sé le sorti del partito e, quindi della sinistra. I tentativi di qualcuno (Bassolino, Chiamparino, Cofferati) di assurgere a leader nazionale sono stati prontamente e scientificamente rintuzzati.
Negli ultimi 7 anni, dalla nascita del PD, il leader si è cercato tra le figure storiche (ancora Veltroni, Bersani), ma il tema della costruzione della leadership del futuro non è mai stata posto da nessuno.
Anzi, figure emergenti del PD (il primo Renzi, Civati, Debora Serracchiani) sono state osteggiate e hanno dovuto affermarsi, nel loro ambito, in contrapposizione alla classe dirigente esistente. Leader nonostante il PD potremmo dire, parafrasando una celebre frase proprio di Debora Serracchiani.
Matteo Renzi, invece, alla vigilia delle primarie dell'8 dicembre, da leader in pectore del PD si pone già il problema della costruzione della nuova classe dirigente e se lo pone non in termini di potentato, di corrente, ma in termini positivi.
Non ha parlato di costruzione di una squadra di cui inevitabilmente sarebbe il capitano, ha parlato di leader che costruiscono altri leader, vale a dire potenziali competitors.
Un concetto rivoluzionario per la classe dirigente di sinistra dei nostri tempi, allevata dal padre al cui non ha mai osato ribellarsi ma pronta ad uccidere il fratello, potenziale competitor. Cambiare verso all'Italia, significa anche questo, superare il complesso di Caino e pensare al futuro già a 38 anni, quando c'è ancora il presente da costruire. Senza, finalmente, paura della concorrenza.
Nessun commento:
Posta un commento